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“Staffette in corso” - Cos'è diventata la nostra società?

Riceviamo dai nostri affezionati lettori e molto volentieri pubblichiamo

  09/01/2022

Di Redazione

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La rubrica, dedicata ad una sorta di “spazio aperto” per quei lettori che volessero segnalare il loro punto di vista relativamente a riflessioni di tipo generalista o attinenti a questioni focalizzate dalla quotidianità, riprende in versione multipla. Riportando interpelli tematici che hanno tenuto banco nell'attenzionamento delle ultime settimane.

“Staffette in corso” 

Caro direttore, non essendomi ancora ripresa dalla decisione del presidente Mattarella di lasciare la Presidenza della Repubblica, prendo coscienza che anche giustizia, politica ed economia nel nostro territorio perdono i rappresentanti di due importanti Istituzioni: Questura e Prefettura. Sia il dottor Gagliardi che la dottoressa Melloni lasciano con molto dispiacere Cremona e provincia, causa pensionamento (l'uno) e trasferimento a più alto incarico (l'altra). Entrambi riconoscono il buon carattere dei cremonesi e l'affetto con cui sono stati circondati. Il loro operare è facilmente giudicabile? Sarà per effetto COVID, ma la nostra economia ha subito diverse  defaillance e il difficile rapporto con il Governo dato i tempi non sono stati d'aiuto. Ringrazio il dottor Gagliardi per aver scelto la nostra città come piacevole residenza e invio un cordiale saluto di incoraggiamento per la dottoressa Melloni unitamente all'augurio di ritrovare altrove altrettanta disponibilità e maggior prestigio. Volendo o non volendo, Cremona è si una bella principessa semi addormentata, ma un po' Cenerentola. È generosa, di buon cuore …e si accontenta di quel poco che cade, se cade, dall'alto. Traendo le somme, l'aspetto positivo di questi abbandoni sta nel conoscere già il nome degli Egregi Signori che li sostituiranno. Porgo il benvenuto al Nuovo Questore e al Nuovo Prefetto, confidando in un futuro migliore che possa donare anche grazie a loro, lustro a Cremona e nuove iniziative realizzabili per il benessere dei suoi buoni cittadini e del vasto territorio che la circonda. Ternando all'abbrivio, meno scontato appare il “testimone” sul Colle più alto. Cosa non certa per chi rileverà l'alto ruolo di Mattarella, il cui fratello mori tra le sue braccia da vero partigiano per essersi    opposto alla mafia. Non vedo per il momento personaggi alla sua altezza, tantomeno partigiani forse solo per essersi qualificati europeisti. 

Grazie, gentile direttore. Lieto nuovo anno a Lei e a tutta la redazione. 

Clara Rossini - Cremona 5 gennaio 2022 

p.s. Una confidenza: per me è talvolta difficile ricordarmi in cosa divergono Questura e Prefettura. Sarà perché una volta coincidevano, sarà perché non mi entra in testa, oppure perché non ho un tangibile riscontro del loro agire. Per me a sedici anni il questore era il papà della mia amica di banco che ci regalava i biglietti omaggio per il cinema e faceva avere la spesa a casa per sua moglie tramite una specie di attendente. 

Dicesi “stereotipi”

Con una decina di righe di “letterina” la nostra apprezzata lettrice e corrispondente ha messo con le spalle al muro il nostro proposito (quasi mai onorato nei risultati) di non uscire mai dai ragionevoli limiti, imposti dalla buona creanza e dal mantenimento di una soglia dell'attenzione (cedevole nella gran parte dei lettori). 

Se non riusciremo a non essere troppo logorroici, ci appelleremo al fatto che la lettrice ha, apparentemente con nonchalance, ha enucleato nel suo interpello tre o quattro spunti, che da soli e separati esigerebbero trattazioni non esattamente fugaci. 

Cominciamo dal post scriptum che, posto come una sine cura interpretativa, evidenzia il permanere nei cittadini di motivi di incertezza sui ruoli. La circostanza accessoria dei due contestuali passaggi delle consegne fissa il proiettore del sempre incerto rapporto tra cittadini e ordinamento statale su un profilo di non poco conto (anche se si tratta di organi periferici). 

La questione poi dell'incerta demarcazione delle funzioni dei due terminali appartenenti al medesimo Dicastero appare in carico sia ad irrisolte questioni ordinamentali, mai opportunamente delineate in sede costituente sia ad un modo inerziale di procedere che, nel corso degli anni, un po' per neghittosità antiriformatrice un po' per utilitarismo politico, ha reso plastica, soprattutto dal punto di vista dei cittadini, un'incerta percezione dell'ingaggio. 

In sede di dibattito propedeutico all'approvazione della Carta della Repubblica, una parte consistente dell'Aula Costituente perorò il superamento dell'istituto prefettizio, ritenendolo incongruo alla guidelines della Repubblica del lavoro, dei cittadini, delle autonomie. 

Mentre (e proprio perché!) la Prefettura della versione italiana (mutuata dal modello transalpino) si era fatta conoscere dall'unità nazionale e attraversando il ciclo monarchico e il Ventennio, come cardine del (spesso più vieto) centralismo. 

Sia come sia, la Prefettura post-costituente si vide affidare (in contrasto, si ripete, con il modello prevalente nei più avanzati paesi europei ed occidentali) regole di ingaggio pervasivo in senso contrario al mandato costituzionale. Che, ripetiamo, era l'esatto opposto delle visioni centralistiche ed autoritaria. Per molti decenni l'istituto costituì la longa manus degli impulsi autoritari e conservatori delle gestioni più retrive dell'Interno. E a tutto campo, dovremmo aggiungere. Perché, la Prefettura sarebbe stata lo snodo territoriale del controllo di polizia sui fermenti sociali (memento il periodo Scelbiano). E avrebbe fatto valere le logiche del bastone e della carota, vigenti le funzioni di controllo di legalità e di merito (preventivo e successivo) sull'operato delle istituzioni locali. 

Smantellata l'intelaiatura scelbiana (di cui la Questura e per essa la Mobile furono lo strumento tecnico) relativa all' “ordine pubblico” e venute meno le competenze, col sopraggiungere della tardiva autonomia locale, di controllo di merito sui Comuni (una vera spada di Damocle minacciosamente pendente sui destini in ispecie delle “amministrazioni rosse”), la Prefettura ha mantenuto un range di competenze residuali, che non ne giustificano la permanenza (almeno negli attuali profili inerziali). Ridotta la coperta, l'istituto ha finito per accentuare il ruolo sia di rappresentanza locale del Governo sia di coordinamento dell'ordine pubblico e delle emergenze. 

Se i titolari degli uffici del Palazzo del Governo fossero scrupolosamente aderenti al mandato, saremmo in presenza di un pietoso ammiccamento, irrilevante dal punto di vista degli effetti della catena di comando; almeno per corpi che, come nel caso dei CC, dipendono gerarchicamente. 

Ma tant'è e sarà così fin tanto che l'Italia non si deciderà di affrontare definitivamente e responsabilmente (nel quadro di una più vasta riforma istituzionale) la questione scansata nel corso della Costituente. 

Esaurito l'approfondimento dell'aspetto ordinamentale, diremo anche qualcosa intorno ad alcuni spunti comportamentali suggeriti, più che dalla lettrice, dalla cifra delle gesta relazionali dei due alti dirigenti in via di trasferimento o di quiescenza. 

Dirigenti che non avrebbero avuto nessun titolo per declinare il loro operato all'insegna di un'interpretazione francamente eccessiva del dovere di “comunicazione” (ovviamente in linea con la dilagante pervasività mediatica, intollerabile con quella che dovrebbe essere la cifra austera di dirigenti statali di sia pur considerevole rango, ma non legittimati ad una narrazione dettagliata e per alcuni versi inappropriata). 

Ai nostri tempi (di baby boomers) non si andava molto per il sottile. Prefetti e Questori, iscritti nel generone meridionale, erano catapultati nella periferia dei poteri centrali, per mette in atto dettagliatamente la consegna talvolta repressiva talvolta di ossessivo controllo. 

La sinistra non si faceva sconti nella denuncia. Lorsignori, titolari dell'incarico (quello di corso Vittorio Emanuele costuma ancora farsi appellare da sottoposti e da interlocutori delle istituzioni territoriali con l'anacronistico “eccellenza”) ottriato gerarchicamente, da parte loro non avevano bisogno di birignao mediatici. Semplicemente, parlavano coi fatti. 

Si comprenderà (a partire dalla nostra interlocutrice) la nostra impermeabilità a subire o semplicemente a comprendere questo timbro mediatico, che, specie nell'ultimo ciclo, è uscito francamente da un range di benevola tolleranza. Non potendo, diversamente dai predecessori, parlare coi fatti (perché i fatti dell'ultimo decennio comprenderebbero, tra l'altro, il coordinamento della gestione “flessibile” del premeditato sacco della città da parte dell'eversione anarchica), i titolari hanno parlato con le parole. Nulla risparmiando dello scibile di marginalità rispetto alle “competenze vere”. 

E, siccome l'appetito vien mangiando, non ci sono stati risparmiati particolari esistenziali eccedenti il mandato, usque ad finem et ultra. Fa piacere che la qualità della vita assicurata a Cremona (in sensibile contrasto con i nostri personali convincimenti) sviluppi appeal fino ai cambi di residenza. Ma circa l'eventuale prosieguo delle puntate intimistiche, affermiamo, come lettori, che abbiamo già dato. 

Ad un tempo facendo voti che la destinazione Cremona per i nuovi arrivi non sia ispirata né dall'abitudine del cimitero degli elefanti né da cicli troppo brevi per essere veramente incidenti nell'avvio a soluzione di questioni incancrenite nel tempo e nell'incuria. 

Discorso significativamente diverso vale la chiosa dedicata all'indirizzo di commiato del Questore ormai destinato a più alto incarico ministeriale. 

Congedandosi l'alto dirigente ha espresso giudizi lusinghieri nei confronti di una città in cui ha operato senza troppo concedere agli eccessi comunicativi (evidentemente gli operatori dell'informazione devono aver mantenuto una relazionalità meno ossessiva) e senza dar luogo a rilievi di natura prestazionale. 

Il Questore dichiara “Cremona è molto accogliente e molto affettuosa, è una città che va al di là degli stereotipi, che non hanno niente a che vedere con questa comunità”

Di fronte a questa chiamata in campo degli stereotipi siamo colti dallo stesso struggimento che colse il “postino” a petto delle “metafore” del poeta cileno. Paolo Neruda (Poiret) l'avrebbe spiegato a Mario Ruoppolo (e implicitamente a noi, che avremmo visto la pellicola alcune decine di volte) che cos'è una metafora (anche senza l'intervento della Cucinotta). 

In teoria potremmo anche azzardare qualcosa attorno alla decifrazione del termine “stereotipo”. 

Ma, francamente, messo così il termine, apparentemente benevolo, nasconde consapevolezze che ci sfuggono. O il Questore (trasferito di sede) ammicca a qualcosa (non particolarmente fecondo) o sa qualcosa su cui è tenuto al segreto d'ufficio. (e.v.)

Cos'è diventata la nostra società? 

Buon giorno, vorrei scostarmi un po' dai problemi locali per fare una piccola riflessione: le cronache di questi giorni ci martellando continuamente sulla fine di un ragazzino ucciso dal padre e iella di un piccolo annegato dalla madre... di seguito ci viene presentata la fine per congelamento di una povera ragazza   che si era riparata dal freddo con sacchetti di plastica alle estremità per dare i suoi calzini ai figli.... Cuore di madre ha salvato i figli.... Mi chiedo??? Ma cos'è diventata la nostra società... Mi vergogno e non aggiungo altro!!! 

A.P. Cremona, 5 gennaio 2022 

Fuori dal coro

Giusto, amaro interrogativo, purtroppo, retorico. Da qualche decennio (oso, dall'approdo e ai tornanti del picco del "miracolo economico") la sensibilità individuale e collettiva si è "impermeabilizzata" agli inputs delle evidenze di quello che non ce la fanno e restano indietro. Rispetto ai parametri di vivibilità "materiale" quanto, soprattutto, al senso civile. In ciò gioca, a mio modesto parere, il portato di un'indifferenza diventata sistemica, che deriva dalla perdita di contatto con i perni spirituali ed etico-morali, derivate sia dalle dottrine religiose sia dalle culture razionaliste e progressiste.  Sarei reticente, se non aggiungessi anche come concorso a tale deriva l'apporto impresso dalla distorsione, gestionale e percettiva, del modello del Welfare che pensa a tutto, dalla culla alla tomba. Mentre si sa che non è così e che tale modello deformato integra l'esistenza di diffuse quote di marginalità e di indigenza. Da ultimo, in materia di “imbarbarimento” dell'etica e dei costumi (anche se arrischio di essere additato come retrò) segnalo due travisamenti concorrenti. Il prima è in capo al fenomeno di una malinterpretata teoria della società libera e tollerante. Che sconfina dai cardini della precauzionalità e del dovere di tutela. Oltre che delle chances riabilitative del reo, anche delle fragilità correlate (nella fattispecie, il bimbo). Sono legalitario e dove possibile innocentista fino a prova contraria. Ma dov'era: la mamma del bimbo (scannato come un agnello) la notte di capodanno, in cui al padre assassino veniva concesso l'esercizio del diritto di relazionalità genitoriale? E il giudice tutelare del minore? I delitti si scontano con le pene; in un'ottica riabilitante, ma non al punto da integrare il dolo eventuale le cui conseguenze potenzialmente sono destinate a ricadere sui più fragili della catena dei non protetti. Per percorso professionale e testimonianza politica so che cos'è la fragilità. Pensavamo di aver risolto tutto con la "riforma". Le sacche di disagio, quando non di patologia manifesta, sono dilagate. Alla (giusta) chiusura dei metodi curativi arretrati non è subentrata l'alternativa del recupero. Cui si sono assommate le conseguenze di culture "liberali" di stili di vita non esattamente ispirati dell'etica della sobrietà.  Mi fermo perché arrischio di inerpicarmi in riflessioni molto vaste e impegnative, fermo restando per quanto si riferisce ai picchi di intollerabile crescente povertà, e non voglio minimamente essere frainteso, che la sala regia dei progetti strategici della umanità scenda una buona volta dal pero. Su due standards comportamentali: l'intervento ristoratore degli stati di fragilità e di marginalizzazione, per quanto assolutamente dovuto, non può avvenire a piè di lista e in un'ottica planetaria. Non proprio un “aiutati che il ciel t'aiuta”, ma un'etica del combinato diritti/doveri di responsabilità civica. Ottica nella quale, se puoi, devi evitare di far pesare sulla solidarietà comunitaria "carichi famigliari" incongrui, figli di una cultura della procreazione variabile e indipendente dalla sostenibilità.  Ci sono solo gli automatismi comportamentali e, soprattutto, lo speech papale a non esserne consapevoli. Fate figli all'infinito, bussate alle porte dell'assistenzialismo, affrontate i viaggi della speranza (incuranti dei pericoli e delle condizioni disumane)...le coscienze e gli afflati (anche perché interpellati dai bombardamenti mediatici) non gireranno le spalle. Usque tandem?   se si considera che sul globo ci sono 8 miliardi da sfamare, molti milioni di piedini e di manine da riparare dal freddo...! A fronte di un aggregato civile mondiale che ha perso, con tutte le precisazioni anticipate, il senso (anche a minimo sindacale) della solidarietà. (e.v.)

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